Verso il totalitarismo digitale. Ecco la società figlia del virus

Il virus ci ha cambiato? Il Coronavirus segnerà il passaggio a un mondo nuovo, diverso da come era prima? A queste domande prova a dare una risposta Marco Bracconi nel suo pamphlet La mutazione, edito da Bollati Boringhieri in solo formato e-book.  

Una lettera scritta direttamente al virus, per raccontargli il mondo che ha contribuito a creare in questi mesi di lockdown. Si rivolge a questo nemico invisibile e vasto contrapponendolo a un nemico con uguali caratteristiche: Internet. Una pervasione totale da parte della Rete nelle nostre vite e nella gestione di tutte le dinamiche della quotidianità. Una delle paure più grandi degli italiani è stata, al secondo posto dopo il timore di contrarre la malattia, quella di non avere più disponibilità del Web. “Un’umanità fuggitiva in possesso di una sola certezza: in questo frangente estremo potevamo farcela senza Dio, ma senza il Web proprio no, senza la Rete nulla ci sarebbe stato più permesso”. Ogni critica a Internet è stata azzerata dalla visita del virus. 

Sostanzialmente la Rete è diventata, per Bracconi, intoccabile, ha fatto il salto di specie, per rimanere nella terminologia cara al virus, ha permesso a noi di vivere affamando il Coronavirus, ma ha reso ancor più evidente quello che da anni ci sta abituando a fare, cioè a un’atarassia sociale, a un allontanamento dalla dimensione pubblica, dalla partecipazione alla vita sociale intesa come presenza corporale. La Rete è diventata sistema-mondo dove è più importante l’immagine che il corpo, in cui l’infosfera ha perso struttura diventando più info che sfera, dove fake, haters e altro hanno trovato lo spazio per qualsiasi ignobiltà.

Proprio alla simbologia della presenza del “corpo” si rifà Bracconi parlando della passeggiata solitaria del Papa per le vie di Roma, a ricordarci che la nostra identità è anzitutto corporea, non digitale. Quel corpo solo era un corpo al quadrato, una tonnellata di corpi che gridavano di esserci, che rivendicavano che il corpo non è interscambiabile o moltiplicabile come un account. Rappresenta la nostra identità e il nostro vincolo di uguaglianza, come titola l’Osservatore Romano.

Allora non è vero che nulla sarà come prima, ma ci siamo solo lasciati mutare in una palingesi delle relazioni umane, nulla di millenaristico, ma solo un passaggio che era oramai da 10 anni nelle corde della nostra società digitale e digitalizzata.

Condivisibile è anche la visione di Bracconi della fase due, della ripartenza inscatolata in moduli prestabiliti e schedulati, una sorta di feudalesimo in cui il feudo è di quattro metri quadri a persona con istruzioni scaturite de jure e dove l’unica salvezza plausibile sembra quella offerta dal digitale che spinge verso un isolamento garantista. Il futuro che ci attende, allora, fatto di smart working, e-learning, remotizzazione, è quello che ha innescato il virus, portandoci in direzione di un totalitarismo da manuale, verso la perdita del senso stesso della democrazia che sarà sempre meno concreta, quanto meno sarà fondata sulla presenza fisica, sulla partecipazione pubblica. “Abbiamo ceduto spazio pubblico al digitale” colmando il vuoto con fasci di fibre. Il virus, mentre moriva a causa di Internet, toglieva di dosso a quest’ultimo qualsiasi neo o aspetto negativo su cui dibattere, facendolo diventare, piuttosto, il punto di partenza per il futuro.

Nulla sarà come prima, ma forse abbiamo già dimenticato, ci ricorda La mutazione, cosa c’era prima del virus: un mondo già pieno di emergenze ambientali che ogni anno provocano 12 milioni di morti e secondo l’OMS nei prossimi 5 anni saranno 60 milioni. Anzi 59, sottolinea Bracconi, perché nel periodo di chiusura a causa del virus, la natura ha avuto la possibilità di riprendersi il posto che le spetta, anche se il ruolo di primo killer spetta alla Sars-Cov-2, non tanto per “le prodezze” del virus, ma per una decisione tutta umana di “assegnare un diverso grado di nobiltà tra chi muore di smog e chi di polmonite”.

Un’analisi folgorante che mette nel focus una socialità disintermediata quale male che questa società sta affrontando che, però, non è solo figlia del virus, ma di un percorso che stiamo già solcando da anni e che la restrizione della libertà impostaci per ragioni di salute pubblica, ha solo reso più evidente e, ormai, considerata indispensabile a garantirci una vita futura. Una vita che, qualora continuasse ad andare in tale direzione, ci porterebbe verso un totalitarismo digitale, che sminuirebbe la tanto storicamente agognata democrazia, in favore dei magnati del digitale e di una realtà distorta e realizzata dalla Rete. Questo virus ci somiglia un po’ troppo, titolava un mio precedente articolo, e anche Bracconi trova questa similitudine quando spiega al virus “tu, invece, in quel momento avresti fatto bene a tener presente che la signora alla quale stavi perfezionando il brand non era affatto un’amica. Hai promosso la Rete […] e intanto lei, aiutandoci a stare separati l’uno dall’altro, ti ha ridotto alla fame. Alla fine tu sei mezzo morto e i sacerdoti del digitale sono passati all’incasso. Sarai pure un virus, ma per certe cose non ti comporti molto diversamente da noi”. 

 

Pubblicato su "Voci di Dentro - Numero Speciale - Giugno 2020"

 

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